
Sistema Paese e internazionalizzazione
Per essere realmente efficiente la sfida dell’innovazione deve essere giocata dall’intero sistema Paese Italia. Occorre cioè considerare aspetti politici, burocratici, sociali e culturali. Questo permette infatti di creare la situazione ottimale per l’innovazione delle imprese italiane. Ulteriore tema chiave è quello dell’internazionalizzazione e delle migrazioni, in particolare delle aree metropolitane italiane. Queste metropoli, già multiculturali, devono essere attrattive e ben organizzate. Solo in questo modo lo scambio e l’incontro possono generare ricchezza economica e culturale per tutti i cittadini.
Le opinioni degli intervistati
La cultura organizzativa e come influenza il comportamento innovativo delle imprese e l’influenza è fortissima ovviamente. Ci sono molti studi che parlano di influenza diretta della cultura organizzativa o della corporate cultures sul comportamento innovativo dell’impresa e ci sono però altrettanti studi e lì c’è un gap molto forte in letteratura sull’influenza del contesto culturale sull’innovazione. E quindi quanto un contesto culturale, che è particolarmente innovativo, dove quindi insistono altre realtà innovative, possa in qualche modo influenzare anche il comportamento della singola impresa per un effetto indiretto.
Oggi ci sono territori che crescono con dei ritmi altissimi, dove anche socialmente si vive bene. Spesso sono quelli dove c’è innovazione. Allora cosa ci aspetta? Ci aspetta migliorare, proporre nuovi servizi innovativi. Questo lo facciamo solo migliorando le conoscenze che abbiamo. Stiamo crescendo sui vari territori e dobbiamo comprendere meglio il fenomeno dell’innovazione.
Io mi interfaccio con la pubblica amministrazione anche in qualità di revisore degli enti locali e da questo punto di vista vedo che c’è veramente un’arretratezza importante nelle amministrazioni locali. A livello di Comuni c’è un’arretratezza spaventosa che per altro nessuno mette in conto di recuperare o di notare per far fronte alle problematiche circa il fabbisogno di personale perché poi si ritrovano con strumenti inadeguati, sottodimensionati come personale, quindi sempre in affanno e in emergenza con il lavoro e con gli adempimenti e sostengono di non avere le risorse da investire in strumenti adeguati. Delle volte questa consapevolezza non c’e nemmeno!
Noi stiamo provando a mettere in campo un approccio innovativo su un tema così complesso come quello delle migrazioni. Il nostro lavoro è soprattutto restituire quello che nell’immaginario pubblico è la realtà di un ambito che sicuramente ha delle problematiche, ma che può essere una grande opportunità per il nostro territorio. Noi crediamo che già in questo vi sia già un approccio innovativo: vedere il tema delle migrazioni non in termini emergenziali, ma strutturali.
Lo Stato Italiano tenta di far qualcosa, ma il discorso va visto a livello globale in cosa fa lo Stato Italiano, cosa fa la Cina, cosa fa l’Europa, cosa fa l’America, perché oggigiorno la competizione è globale. Perciò, nel momento in cui la Sardegna entra in concorrenza col turismo nord africano, che cosa sta facendo l’Italia, l’Europa per la Sardegna o l’Italia o l’Europa per l’Italia o l’Italia per l’Italia stessa?
La collaborazione internazionale permette di sviluppare progetti innovativi in ambito educativo e sociale. Il nostro lavoro non è omologare dal basso, ma è portare il basso in su con la potenza della cultura e dell’arte.
Secondo me, si parla di innovazione poco e male: non si affronta né da un punto di vista della formazione, né un punto di vista degli strumenti, né tantomeno credo che ci sia una collaborazione pubblico-privata adeguata per far fronte a tutto il tema dell’innovazione in questo momento e in questo paese.
Fare innovazione in Italia è molto complicato per una serie discorsi legati agli ostacoli burocratici chiaramente e di lentezza nel processo di acquisizione delle informazioni e di diffusione dell’informazione. Le aziende sono troppo chiuse: questi canali che dovrebbero essere un po’ più aperti e quindi permettere uno scambio anche fisico, quindi il problema reale dell’Italia è la lentezza nel processo di crescita, la lentezza del processo di scambio di informazioni.
In Italia non c’è una grande cultura dell’investimento nelle startup e nelle tecnologie avanzate, il che significa un po’ anche investimento ad alto rischio. Molte volte non ci sono gli strumenti che sostengono le aziende, quindi esse si aggiustano come possono oppure se ne vanno all’estero a trovare un miglior fortuna.
Penso che lo stato non stia facendo abbastanza e che, soprattutto, l’italiano medio non sia abbastanza informato su quello che è il mondo della tecnologia e dell’innovazione e che debba essere un po’ più stimolato.
I temi dell’innovazione e dell’internazionalizzazione sono vitali per lo sviluppo del nostro paese. Torino e le grandi aree metropolitane italiane devono essere pronte a questa sfida. Non è soltanto una sfida verso la povertà, ma è attrazione delle energie che possono venire ad interagire con le nostre attività produttive. Oggi molti giovani italiani viaggiano e vanno a lavorare nelle più importanti piazze internazionali. Torino e l’Italia devono cercare di attrarre queste forze verso il nostro paese. Ma non siamo ancora in grado di essere adeguatamente attrattivi. Non siamo in grado di comunicare nella maniera migliore quali potrebbero essere i plus per essere importanti a livello internazionale per un giovane che arriva dagli altri continenti. I parametri dell’attrattività sono estremamente pratici (burocrazia, sanità, facilità di avere documenti). Infine parlando di giovani con prospettive internazionali l’aspetto loisir e quello culturale sono fondamentali (stagioni liriche, concerti, teatri, musei, locali…).
Secondo me lo Stato può aiutare il mercato aiutando le aziende a fare diventare le idee realtà, ovvero magari ci sono fondi che aiutano e sostengono ottime idee sulle quali però magari non c’è stato un buono studio di mercato. Sarebbe molto bello, a mio avviso, creare dei tavoli trasversali, e ce ne sono ancora pochi, in cui ricerca, industria e ente sono davvero insieme per fare qualcosa di concreto, non che si fermi lì, non che si fermi all’idea. Secondo me serve un po’ più di concretezza e come fare a farla? Con forti sgravi su quello che è magari il costo del lavoro, perché poi molto spesso le aziende sono frenate dal problema culturale di preparazione.
Viene in mente futuro, futuro che passa però anche per il presente. Quindi la necessità di studiare, innovare, creare presupposti per una società compatibile, una società che possa valorizzare i criteri della scienza e della tecnica. Ma con uno sguardo fortissimo a tutto ciò che il web, la tecnologia, lo studio, la ricerca possa sviluppare.
La tecnologia soltanto non basta: oggi è importante soprattutto imparare a lavorare fra di noi in rete, senza una rete noi non possiamo andare avanti nel modo migliore preparando un futuro più serio, meglio organizzato. E allora imparare a lavorare in rete insieme agli altri è una specie di palestra che deve essere fatta ai giovani, perché se usciamo fuori dall’individualismo possiamo dare il meglio di noi e costruire tante eccellenze.
Lo Stato Italiano potrebbe sicuramente facilitare la burocrazia, perché se vuoi ottenere fondi, riuscire ad avere notizie o comunque formazione, sai già a priori che sarà una giungla. Non abbiamo necessità di chissà quali sostegni particolari o strutture, ma semplicemente un accesso più veloce alle informazioni, molto più snello, molto più chiaro e anche una serie di facilitazioni nei rapporti con gli uffici e con la burocrazia.
Per noi l’innovazione è il futuro, cioè lo strumento principale per il quale possiamo attivare, soprattutto nelle aree più deboli del nostro paese, dei percorsi di sviluppo che possono offrire soprattutto ai tanti giovani meridionali che si sono laureati in questi anni, delle opportunità di realizzazione professionale.
Serve una cultura imprenditoriale e una capacità di aggregazione da sviluppare più al sud perché al nord c’è già una cultura dell’aggregazione, mentre da noi al sud non c’è e se non si avvicinano le due parti del paese il paese non riparte.
È la ricerca che fa grande un paese ed è la ricerca che porta il lavoro all’interno del paese.
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